21.5.10

Preghiera a me stesso

Ponte di legno, sopra un fiume, dando acesso a un bosco.




Che io mi permetta di guardare, di sentire e di sognare di più. Di parlare meno. Di piangere meno.

Vedere negli occhi di chi mi guarda, l'ammirazione che hanno di me e non l'invidia, che prepotentemente, penso che loro hanno.

Udire con i miei cauti uditi e la mia bocca statica, le parole che diventano gesti e i gesti che diventano parole. Permettermi sempre d'udire quello che io non mi sono dato il permesso d'udire.

Sapere realizzare i sogni che nascono in me e da me e con me muoiono, per me non saperli sogni. Quindi, che io possa vivere i sogni possibili e gli impossibili; queli che muoiono e risuscitano ad ogni nuovo frutto, ad ogni nuovo fiore, ad ogni nuovo calore, ad ogni nuova brina, ad ogni nuova giornata. Che io possa sognar l'aria, sognar il mare, sognar l'amar, sognar l'amalgamare.

Che io mi permetta il silenzio delle forme, dei moti, dell'impossibile, dell'immensità di tutta la profondità.

Che io possa sostituire le mie parole per il tocco, per il sentire, per il comprendere, per il segreto delle cose più rare, per la preghiera mentale (quella che l'anima crea e che soltanto essa, l'anima, ascolta e soltanto essa, l'anima, risponde).

Che io sappia misurare il calore, sentire la forma, intravedere le curve, disegnare le rette, e imparar il sapore dell'esuberanza che si mostra nelle piccole manifestazioni della vita.

Che io sappia riprodurre nell'anima l'immagine che entra per i miei occhi diventandomi parte suprema della natura, creandomi e ricreandomi ad ogni istante.

Che io possa piangere meno di tristezza e più di soddisfazioni.
Che il mio pianto non sia invano, che invano non siano i miei dubbi.
Che io sappia perdere i miei cammini, ma che io sappia ricuperare i miei destini con dignità.
Che io non abbia paura di nulla, principalmente da me stesso: che io non abbia paura delle mie paure!

Che io mi addormenti ogni volta che vada spargere lacrime inutili e che io mi svegli col cuore pieno di speranze.

Che io faccia da me un'uomo sereno dentro delle mie proprie turbolenze. Saggio dentro dei miei limiti piccoli e inesatti, umili davanti le mie grandezze sciocche e ingenue ( che io mostri il quanto sono piccole le mie grandezze e il quanto è preziosa la mia piccolezza).

Che io mi permetta essere madre, padre, e, se abbia bisogno, essere orfano.

Permettimi di insegnare il poco che so e imparare il molto che ancora non lo so, tradurre quello che i maestri insegnarono e comprendere la gioia con cui i semplici traducono le proprie esperienze.

Rispettare incondizionatamente l'essere. L'essere per sé solo, per più nulla che possa aver oltre la sua esistenza, ausiliare la solitudine di chi è arrivato, arrendermi al motivo di chi è partito e accettare la nostalgia di chi è rimasto.

Che io possa amare ed essere amato. Che io possa amare stesso senza essere amato, fare gentilezze quando ricevo coccole e coccolare proprio quando non ricevo gentilezze.

Che io mai rimanga da solo, proprio quando io mi voglia da solo.



Da Oswaldo Antonio Begiato

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