10.11.10

Aquila

Tramonto al mare, in cielo un'aquila in sopra volo

Trattenuto in catene,
triste e represso,
Soffocato fra tante voci e regole,
tanti commandi, tante vicende...
Anche se ti curano,
comunque ti hanno tagliato le ali
e ghiacciato il tuo cuor voglioso di calore.

Sfonda il cancello di questa gabbia.
Vola! so che puoi volare!
hai le ali, impara ad usarle
sei ancor un'aquila...
Torna alla tua collina
a guardare il tuo mare
e la campagna dei tuoi ricordi giovanili
dove le radici sempre ci saranno.

Grida ancor sopra la collina aquila mia,
facci sentirti forte, fammi sentire...
lassù lassù ridi piangi godi,
inebriati dell'aria fresca.
uila tie lleggeru àcula mia...
Vola, vola alto senza pensare nei confini.
Vola senza paura di farti ancor vivere...

- Silvana G Melo -

10.10.10

Damme nu ricciu (Damme la manu)



DAMME LA MANU
Di Antonio Amato Ensemble

Damme la manu / dammi la mano
de sutta allu ceppune / di sotto il ceppo della vite
e tie de calandra / tu da calandra
e ieu te scalandrune / ed io da calandrone

Damme nu rìcciu / dammi un riccio
O de li tuoi capelli / dei tuoi capelli
su' rìcci ma su belli / sono ricci ma sono belli
me fannu innamurare / mi fanno innamorare

Vene lu ientu / viene il vento
e cutula li rami / e muovi i rami
mo' tenite a mie / adesso tieniti a me
cu nu cadimu / affinché non cadiamo

Damme la manu / dammi la manu
e tenimela forte / e stringilame forte
e finu alla morte / fino alla morte
e nu me abbandunare. / e non m'abbandonare


Nota:
Dal Dizionario Leccese - Italiano, da Antonio Garrasi.
1- calandra - sf. Calandra, uccello simile all'allodola. Fig. Persona piccola e fragile come una calandra.
2- scalandrune - sm. Scala a libro apribile a A. Fig. Persona di statura molto alta e di corporatura dinoccolata.

21.5.10

Preghiera a me stesso

Ponte di legno, sopra un fiume, dando acesso a un bosco.




Che io mi permetta di guardare, di sentire e di sognare di più. Di parlare meno. Di piangere meno.

Vedere negli occhi di chi mi guarda, l'ammirazione che hanno di me e non l'invidia, che prepotentemente, penso che loro hanno.

Udire con i miei cauti uditi e la mia bocca statica, le parole che diventano gesti e i gesti che diventano parole. Permettermi sempre d'udire quello che io non mi sono dato il permesso d'udire.

Sapere realizzare i sogni che nascono in me e da me e con me muoiono, per me non saperli sogni. Quindi, che io possa vivere i sogni possibili e gli impossibili; queli che muoiono e risuscitano ad ogni nuovo frutto, ad ogni nuovo fiore, ad ogni nuovo calore, ad ogni nuova brina, ad ogni nuova giornata. Che io possa sognar l'aria, sognar il mare, sognar l'amar, sognar l'amalgamare.

Che io mi permetta il silenzio delle forme, dei moti, dell'impossibile, dell'immensità di tutta la profondità.

Che io possa sostituire le mie parole per il tocco, per il sentire, per il comprendere, per il segreto delle cose più rare, per la preghiera mentale (quella che l'anima crea e che soltanto essa, l'anima, ascolta e soltanto essa, l'anima, risponde).

Che io sappia misurare il calore, sentire la forma, intravedere le curve, disegnare le rette, e imparar il sapore dell'esuberanza che si mostra nelle piccole manifestazioni della vita.

Che io sappia riprodurre nell'anima l'immagine che entra per i miei occhi diventandomi parte suprema della natura, creandomi e ricreandomi ad ogni istante.

Che io possa piangere meno di tristezza e più di soddisfazioni.
Che il mio pianto non sia invano, che invano non siano i miei dubbi.
Che io sappia perdere i miei cammini, ma che io sappia ricuperare i miei destini con dignità.
Che io non abbia paura di nulla, principalmente da me stesso: che io non abbia paura delle mie paure!

Che io mi addormenti ogni volta che vada spargere lacrime inutili e che io mi svegli col cuore pieno di speranze.

Che io faccia da me un'uomo sereno dentro delle mie proprie turbolenze. Saggio dentro dei miei limiti piccoli e inesatti, umili davanti le mie grandezze sciocche e ingenue ( che io mostri il quanto sono piccole le mie grandezze e il quanto è preziosa la mia piccolezza).

Che io mi permetta essere madre, padre, e, se abbia bisogno, essere orfano.

Permettimi di insegnare il poco che so e imparare il molto che ancora non lo so, tradurre quello che i maestri insegnarono e comprendere la gioia con cui i semplici traducono le proprie esperienze.

Rispettare incondizionatamente l'essere. L'essere per sé solo, per più nulla che possa aver oltre la sua esistenza, ausiliare la solitudine di chi è arrivato, arrendermi al motivo di chi è partito e accettare la nostalgia di chi è rimasto.

Che io possa amare ed essere amato. Che io possa amare stesso senza essere amato, fare gentilezze quando ricevo coccole e coccolare proprio quando non ricevo gentilezze.

Che io mai rimanga da solo, proprio quando io mi voglia da solo.



Da Oswaldo Antonio Begiato

1.5.10

Figlio del tempo

Uomo nudo dentro d'una clessidra - nudo artístico – nu artístico

Ehi bambino, dove sei?
bambino figlio del vento...
bambino figlio del tempo...
che non c'è posto né momento.

Dai bambino, dove vai?
non lavori adesso
c'è un mostro laggiu,
che ti vuol afferrar.

Ehi bambino, come mai non dici niente?
Vieni qui nelle mie braccia
lasciami farti una coccola
che ti voglio badar.

Dai bambino, mo' cosa fai?
Sei il figlio del tempo
sosti quella clessidra
ed andiamo a giocar.

Ehi bambino, guardi a me!
Lasciami vedere nei tuoi occhi
chi è questo figlio del vento
e dove il suo cuor sta.

Silvana G Melo

29.4.10

Scusate Ancora

I gatti negli specchi



(...) Lasciatemi dire un’altra cosa, e poi basta.
Non voglio offendervi. La vostra coscienza, voi dite. Non volete che sia messa in dubbio. Me n’ero scordato, scusate. Ma riconosco, riconosco che per voi stesso, dentro di voi, non siete quale io, di fuori, vi vedo. Non per cattiva volontà. Vorrei che foste almeno persuaso di questo. Voi vi conoscete, vi sentite, vi volete in un modo che non è il mio, ma il vostro; e credete ancora una volta che il vostro sia giusto e il mio sbagliato. Sarà, non nego. Ma può il vostro modo essere il mio e viceversa?
Ecco che torniamo daccapo!
Io posso credere a tutto ciò che voi dite. Ci credo. Vi offro una sedia: sedete; e vediamo di metterci d’accordo.
Dopo una buona oretta di conversazione, ci siamo intesi perfettamente.
Domani mi venite con le mani in faccia, gridando:
- Ma come? Che avere inteso? Non mi avevate detto così e così?
Così e così perfettamente. Ma il guajo è che voi, caro, non saprete mai, né io vi potrò mai comunicare come si traduca in me quello che voi mi dite. Non avete parlato turco, no. Abbiamo usato, io e voi la stessa lingua, le stesse parole. Ma che colpa abbiamo, io e voi, se le parole, per sé, sono vuote? Vuote, caro mio. E voi le riempite del senso vostro, nel dirmele; e io nell’accoglierle, inevitabilmente, le riempio del senso mio. Abbiamo creduto d’intenderci; non ci siamo intesi affatto.
Eh, storia vecchia anche questa, si sa. E io non pretendo dir niente di nuovo. Solo torno a domandarvi:
- Ma perché allora, santo Dio, seguitate a fare come se non si sapesse? A parlarmi di voi, se sapete che per essere per me quale siete per voi stesso, e io per voi quale sono per me, ci vorrebbe che io, dentro di me, vi déssi quella stessa realtà che voi vi date, e viceversa; e questo non è possibile?
Ahimè, caro, per quanto facciate, voi mi darete sempre una realtà a modo vostro, anche credendo in buona fede che sia a modo mio; e sará non dico; magari sarà; ma a un “modo mio” che io non so né potrò mai sapere; che saprete soltanto voi che mi vedete da fuori: dunque un “modo mio” per voi, non un “modo mio” per me.
Ci fosse fuori di noi, per voi e per me, ci fosse una signora realtà mia e una signora realtà vostra, dico per se stesse, e uguali, immutabili. Non c’è. C’è in me e per me una realtà mia: quella che io dò; una realtà vostra in voi e per voi: quella che voi vi date; le quali non saranno mai le stesse né per voi né per me.
E allora?
Allora, amico mio, bisogna consolarci con questo: che non è più vera la mia che la vostra, e che durano un momento così la vostra come la mia.
Vi gira un po’ il capo? Dunque dunque... concludiamo. (...)

Luigi Pirandello
Uno, Nessuno e Centomila, L.2º-IV

28.4.10

Considerazioni Preliminari

Ciao a tutti,
Oggi, dopo quasi più d'un anno tra dubbi e desideri, ho deciso che adesso è il momento giusto per aver un nuovo blog. Penso di far qualcosa di simile a quello che faccio nel mio Blog in portoghese, ossia postare testi d'autori famosi e sconosciuti che mi aggradano ed anche testi miei, però in italiano...

Bene, penso che ci vorrà un po' di tempo per mettere tutto qua a posto. Forse, chissà, lascerò i due blog (brasiliano e italiano), con i Layout uguali, visto che indipendentemente dall'idioma che parlo o scrivo, il mio animo sarà sempre lo stesso.

A presto!